Pillola abortiva, test a Torino
Sarà sperimentata da ottobre
Arriva anche in Italia l'Ru 486, la pillola per l'aborto farmacologico già utilizzata da una decina d'anni in gran parte dell'Europa. Ad avviare le sperimentazioni sarà l'ospedale ginecologico Sant'Anna di Torino, che da ottobre testerà il prodotto su 400 donne su cui saranno confrontati gli effetti di due diversi dosaggi. Per legge la somministrazione della pillola, che permette di evitare l'intervento chirurgico, sarà possibile solo in ospedale.
Via libera, dunque, con tanto di polemica già servita. Da una parte i Radicali, favorevoli all'introduzione del farmaco. Dall'altra An che, capitanata dal parlamentare torinese Agostino Ghiglia, ha già scritto al ministro Girolamo Sirchia chiedendo il ritiro immediato dell'autorizzazione a sperimentare "la pillola della morte". Giustificherà - dice An - "l'aborto scaccia-pensieri".
Diversa l'opinione dei Radicali, che hanno invece espresso soddisfazione per il risultato, ottenuto anche grazie al contributo di un loro esponente, vale a dire proprio il ginecologo del Sant'Anna Silvio Viale che da tempo si batteva per fare partire la sperimentazione. "Il ritardo con cui si avvierà l'introduzione dell'Ru 486 al Sant'Anna - spiega Viale - è dovuta al ricatto con il quale per lungo tempo il ministero della Salute ha tenuto la direzione dell'ospedale inchiodata all'emissione di un proprio parere, non necessario". Per legge, però, l'aborto può essere fatto soltanto in ospedale. Cosa che non preoccupa minimamente Viale: "Per noi va bene: ci limiteremo a trattenere ricoverate le donne in procinto di abortire per tutto il tempo necessario al farmaco per svolgere la sua azione".
La pillola abortiva è cosa diversa dalla pillola del giorno dopo, ma "è un metodo con cui la donna che intende abortire può evitare l'intervento chirurgico. Così, anziché intasare le sale operatorie per essere sottoposta al raschiamento, la donna in procinto di aborto si limita a ingerire un farmaco che provoca l'espulsione del feto". La richiesta di autorizzazione alla sperimentazione, sponsorizzata da cento medici dell'ospedale torinese, era stata consegnata al Comitato etico regionale del Piemonte nel 2002, ed era stata approvata. A sostenerla, oltre a Viale, erano stati il direttore del suo reparto Mario Campogrande, e il responsabile del dipartimento universitario di Ostetricia e Ginecologia al Sant'Anna, Marco Massobrio. L'allora assessore alla Sanità della Regione Piemonte Antonio D'Ambrosio, esponente di An e antiabortista, nella risposta a una interpellanza dei Radicali in consiglio regionale "sugli ostacoli tecnico-giuridici all'introduzione dell' aborto farmacologico" aveva sottolineato che la legge 194 del '78 "non impedisce né impone il ricorso generalizzato all'aborto farmacologico".
E tale legge, ricordano i Radicali, prevede che "le regioni, d' intesa con le università e gli enti ospedalieri, promuovono l'aggiornamento del personale sanitario sull'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna, e meno rischiose per l' interruzione della gravidanza". Favorevole fin dall'inizio si era dichiarato anche l'Ordine dei Medici di Torino: "Il farmaco - aveva dichiarato il presidente Amedeo Bianco - è già somministrato nella grande maggioranza dei paesi europei. E' conosciuto e sperimentato, e non c'è ragione per impedirne la registrazione anche in Italia".